Teoria della illusione nelle entrate pubbliche (recensione e testo)
Teoria della illusione nelle entrate pubbliche – di Amilcare Puviani
Recensione di: A. CABIATI
Giornale degli Economisti, SERIE SECONDA, Vol. 15 (Anno 8) (DICEMBRE 1897), pp. 591-593
https://www.jstor.org/stable/23220447
Prof. Amilcare Puviani, Teoria della illusione nelle entrate pubbliche. (Perugia, 1897).
È un bello scritto, in cui l’Autore, come frutto di un lungo processo mentale, presenta le linee generali di una teorica psicologica di non lieve importanza finanziaria.
Lo Stato, quando colpisce d’imposta i redditi privati, al duplice scopo di rendere meno gravosa l’incisione e di assicurare alle sue casse il massimo introito, si prevale di vari momenti in cui l’animo del contribuente valuta con minore importanza la ricchezza che sta per cedere.
Questo avviene, sia perché un improvviso arricchimento muta lo stato patrimoniale del privato, sia perché l’utilità di un servizio pubblico appare ai suoi occhi per molte cause superiore alla effettiva: i due casi, come si vede, si possono ridurre a un solo: un mutamento soggettivo nei l’apporti utilitari fra i beni privati e quelli pubblici.
L’ analisi dello cause che possono mutare questo rapporto è condotta con molto acume dall’A. il quale distingue tre casi principali:
a) nascondimento di ricchezza requisita dallo Stato: e qui esempi tipici sono i possedimenti demaniali e loro alienazioni e le alterazioni della moneta. Seguono gli occultamenti determinati dai vari sistemi dei prestiti pubblici e quelli prodotti dalla vendita dei pubblici offici, di scandalosa memoria;
b) il secondo caso tipico è l’ occultamento di ricchezza requisita in sede di bilancio. Costituisce forse la parte più bella e interessante del libro. L’Autore descrive con molta ricchezza tutti i sistemi con cui la pubblica amministrazione cercò e cerca di occultare alla gran massa dei contribuenti gli scopi finali in cui si disperdono le imposte pagate. Tali sistemi si possono riassumere in una lotta secolare fra il popolo e il sovrano, i rappresentanti del popolo e il potere esecutivo in sede di bilancio.
Fare dell’erudizione storica qui era agevole: e l’Autore molto opportunamente non vi ha insistito, cercando invece di studiare i molteplici sistemi scritturali contabili con cui ai nostri tempi si è pervenuti a comporre dei bilanci e dei conti patrimoniali altrettanto giganteschi quanto oscuri per il popolo sovrano. D’altra parte non tutti i rappresentanti di esso, anche se capaci, sono interessati a leggere fra le righe irte di cifre, di traspòrti, di movimenti di capitali, consci che gran parte della ricchezza così occultata va distribuita a favore della classe dominante. È questo stesso motivo che rende quasi irrisoria la vigilanza dei grandi Corpi consultivi, quali la Corte dei Conti. E noi ne sappiamo qualcosa in Italia, dove pure, come bene osserva l’Autore, fu per la prima volta sancito (con la legge 8 luglio 1883) il principio del controllo preventivo sulle pubbliche entrate e spese.
Cosicché, secondo l’Autore, questa grande conquista popolare della conoscenza dei conti pubblici, si è risolta in una larva legale, di cui l’unico vantaggio sensibile è che il pubblico danaro non venga devoluto a scopi privati, individuali, continuando per altro ad essere distratto per scopi di classe;
c) l’ultimo caso infine proviene dal fatto che l’imposta colpisce il contribuente in un momento in cui esso soggiace a una illusione dipendente da un aumento di piaceri di indole privata. Esempi peculiari : l’imposta sui trasferimenti delle ricchezze e l’imposta di consumo.
Qui l’Autore pon fine al suo pregevole scritto. Esso certamente non va esente da alcune mende. Cosi, sembra perlomeno inutile lo sfoggio di dimostrazioni grafiche con cui l’Autore chiarisce alcuni suoi concetti nelle prime pagine del volume. Trattandosi di principi intuitivi e molto generali, una dimostrazione torna vana, quando non è pericolosa: i matematici lo sanno. Per contrario quanto l’Autore afferma ( p. 32) sull’occultamento degli effetti penosi immediati dell’imposta, ottenuto « mediante l’avvicinamento delle pene inflitte da un’imposta a pene inflitte da altre imposte » non è certo atto a convincere pienamente il lettore e meriterebbe, perlomeno, di essere approfondito con la suddivisione in più sottocasi e col rilevare le numerose eccezioni.
Trattando poi dell’illusione con la quale si nascondono a certe masse di contribuenti le requisizioni di un certa parte del loro patrimonio mediante imposte apparentemente inficianti solo il reddito ( p. 49), l’Autore accenna all’imposta sulla rendita fondiaria e fissa il principio noto che « una imposta sul reddito fissa, immutabile, tende a risolversi in una diminuzione del valore della fonte colpita, in misura uguale alla capitalizzazione dell’imposta ». Per quanto le seguenti osservazioni attenuino l’imperfezione della dicitura, rimane sempre il dubbio fondato che l’Autore divida Egli pure (ed è in buona compagnia) il vecchio errore degli statisti inglesi da Lui citati.
L’importanza della questione però è tale, che sarà più opportuno ritornarvi in apposita sede.
Infine la spiegazione che il Prof. Puviani tenta dare del carattere straordinario dell’imposta sui trasferimenti delle ricchezze, risolvendolo con la circostanza dell’arricchimento momentaneo ed eccezionale dell’erede o avente causa, sembra troppo unilaterale e semplice per spiegare, da sola, tutto il complesso storico e finanziario di quella forma curiosa d’imposta, forse più giuridica che economica. La ragion vera si è che sinora, malgrado gli studi fatti dal Bésobrasoff al Wagner e al Graziani, il carattere economico dell’imposta sui trasferimenti delle ricchezze è ben lungi dall’essere determinato: e la teoria del Puviani aggiunge al sin qui fatto un elemento forse notevole, ma certamente né unico né in primo grado importante.
Queste osservazioni, più soggettive che altro, non recano però offesa all’insieme del libro, come abbiamo premesso, acuto e interessante. Gli aggiunge pregio il fatto che l’Autore, conscio della bontà intrinseca dell’argomento, non ha trovato bisogno di coprire il vuoto delle idee con periodi alla Guicciardini: sicché il suo scritto si legge volentieri tutto d’un fiato.
Non resta se non ad attendere che il Puviani completi presto il suo studio con altro libro in cui, come ci promette, venga svolta « la teoria dell’illusione nelle pubbliche spese ».
A. Cabiati
Leggi il Testo: Teoria della illusione nelle entrate pubbliche - di Amilcare Puviani https://drive.google.com/file/d/0B1yvwwUFoJwqc0xleG1POGFrX00/view?usp=sharing&resourcekey=0-pa0GtK0i8Us_0taHDZnBNQ