Teoria della illusione finanziaria (recensione e testo)

Giornale degli Economisti e Annali di Economia

Il modo più degno di onorare l’attività scientifica di Giorgio Mortara è quello di non trascurare i maggiori contributi arrecati alle minute ricerche qualitative e quantitative nel campo della realtà economica, che egli in sommo grado predilesse e che va intesa anche nelle concrete illusioni generatrici di particolari forme di essa, quali ci sono offerte specialmente dal campo finanziario.

Cotesto singolare aspetto della realtà economica per la prima volta fu trattato sistematicamente da Amilcare Puviani ed oggi si sente come non mai il bisogno di approfondirne i caratteri e seguirne la casistica rigogliosa, quantunque poco o punto si ricordi l’opera del pioniere.

In una recente monografia del professore di Finanza dell’Università di Strasburgo l’ordine delle idee e gli esempi del Puviani si dimostrano ripensati così intimamente anche nell’interpretazione di un sondaggio quantitativo, per la prima volta eseguito su un gruppo di contribuenti ad iniziativa del finanziere francese, da scemare nella sua mente il ricordo del predecessore, specie se abbia avuto solo una conoscenza indiretta della di lui opera.1

In un più recente trattato e specie ultimamente nel breve corso di lezioni tenute alla Scuola di Economia della Città di Messico, il professore di Finanza della Facoltà Giuridica dell’Università di Parigi ha discusso lungamente su questo argomento, ha destinato parecchi capitoli allo « Aspetto psicologico delle finanze pubbliche » e abbozzato schemi di ricerche quantitative sulla redistribuzione del reddito tra i vari gruppi sociali, più o meno occultamente operata dallo strumento finanziario2.

Al medesimo genere di ricerche s’ispira una comunicazione presentata dall’Institut de Science Economique Appliquée di Parigi alla X Riunione Europea della Società di Econometrica, svoltasi a Cambri nell’agosto scorso3.

Poiché all’opera del Puviani si collega il lavoretto irreperibile di un nostro caro omonimo, abbiamo testé curato la ristampa di quest’ultimo per circolazione privata facendola precedere da un riassunto ragionato del pensiero preliminarmente qualitativo del Puviani, che non crediamo inopportuno pubblicare in questo « Giornale » con l’augurio che, proponendosi di onorare un vegeto maestro di Statistica e di Economia induttiva, sia anche di stimolo a una degna analisi commemorativa dell’insigne finanziere e alla ristampa del suo volume, la cui prima e ultima edizione è del 1903.

* * *

Alcune osservazioni di vari studiosi sul modo illusorio di compor tarsi degli Stati moderni nell’attività finanziaria indussero un professore dell’Università di Perugia a pubblicare nel 1897 in parte negli « Annali della Facoltà Giuridica di Perugia » e in parte nel «Giornale degli economisti» circa la metà di un lavoro, che dopo un quinquennio fu ristampato come prima parte considerevolmente accresciuta e corretta di un volume, edito dal figlio animoso di un libraio isolano e pur sensibilissimo alle nuove correnti culturali della nazione4. La singolare pubblicazione composta di 301 pagine raccolte in 14 capi, 74 paragrafi e un’appendice, venne compresa in quelle Collezioni Sandron, che avevano già raccolto opere allora eterodosse dei siciliani Giuseppe Sergi, Giovanni Gentile, Orsomario Corbino, ecc. ed anche di Benedetto Croce, Achille Loria, Cesare Lombroso e altri scrittori oggi di fama internazionale.

L’ambizioso proposito del Puviani non fu chiarito nella prefazione del suo volume e neppure all’inizio della trattazione, ma nel corso di essa e riepilogato alla fine della sua fatica con le seguenti affermazioni : « (pag. 285) Certo nessun singolo uomo di Stato concepì ed attuò un piano organico d’illusioni tributarie; ma di volta in volta che le circostanze lo sospinsero a chiedere danaro al pubblico preferì tali provvedimenti empirici, che poco a poco nella loro immanenza dovevano costituire un sistema di scaltrezze fiscali. Ecco perché attraverso i secoli vennero formandosi sistemi d’imposte animati da uno spirito arcano, mirabilmente sottile e profondo, che la scienza deve rilevare e che la politica aveva passo passo faticosamente elaborato… (pag. 287) Ai nostri giorni agiscono circostanze e forze speciali, che insidiano da molte parti il sistema dell’illusione finanziaria, quale è stato elaborato dalla borghesia, ne squarciano qua e là i veli dando evidenza alla verità; per modo che si palesano pericoli per le classi dominanti, che non potranno essere superati se non mediante concessioni e benefizi ai contribuenti o con nuovi e più sottili artifici d’illusione… (pag. 290) Di fronte a questo stato di cose i Governi della borghesia trionfatrice hanno dovuto e dovranno ad un tempo concedere le riforme meno lesive degl’interessi immediati dei ricchi, astenersi dagli abusi più evidenti ed arricchire di forme più raffinate l’illusione nelle entrate e nelle spese pubbliche. Una tale condotta dei Governi si appalesa nel lento e contrastato penetrare del criterio soggettivo nella imposizione, o nella sovraimposizione alle vecchie imposte sull’entrata di un’imposta sul reddito ed eventualmente anche di un’imposta sul capitale, nella timida introduzione di un saggio leggermente progressivo, nell’esenzione dalle imposte dirette dei redditi minimi sovraccarichi d’imposte indirette, in parziali ed insufficienti ritocchi alle leggi sulla contabilità di Stato e sulla Corte dei Conti, in maggiori spese per un contributo alla cassa pensione degli operai, per la protezione degli emigranti, per l’istruzione elementare, ecc. In tutto il che si riscontra ad un tempo un progresso reale, per quanto lento e limitato, ed una elaborazione di nuove forme d’illusione finanziaria… (pag. 298 e 301) La maggior parte delle cause, che oggi cospirano all’indebolimento delle illusioni finanziarie e politiche, elaborate e rielaborate dalla borghesia, contribuirono con varia efficacia, ed alcune con decisiva, alla dispersione delle illusioni finanziarie e politiche nel momento della caduta del regime feudale… Può dirsi con esattezza che la coscienza comune, ben più che l’opinione d’un dotto isolato, dettassero a Dupont de Nemours le seguenti parole, che egli scrisse nel cahier del suo baliaggio : « Il faut éviter la ressource insidieuse de l’imposition indirecte, il faut la repousser comme le plus grand des maux; ce n’est que par elle qu’on peut parvenir à ruiner les nations… L’imposition directe est celle qui fait le plus de bruit et qui choque davantage. C’est pour cela mème qu’elle est moins à craindre et plus conforme à la liberté. Elle avertit de sa présence, elle éveille la réclamation ». [Trad. “Bisogna evitare l’insidiosa risorsa della tassazione indiretta, bisogna respingerla come il più grande dei mali; È solo attraverso questo che le nazioni possono essere rovinate… La tassazione diretta è quella che fa più rumore e sconvolge di più. Ecco perché è meno temuto e più in linea con la libertà. Avverte della sua presenza, suscita lamentele”]

L’opera del Puviani sorse nel periodo successivo ai maggiori turbamenti finanziari dell’Italia umbertina e sonniniana e — sebbene dopo le prime incertezze sia stata molto apprezzata e abbia avuto l’onore di essere segnalata nella scelta della breve bibliografia aggiunta da Luigi Einaudi alle ultime edizioni dei suoi Principi di Scienza della Finanza e sia spesso citata — non ha avuto ristampe e neppure è stata tradotta nei così detti Stati popolari d’oltrecortina o altrove e pertanto è poco o punto letta anche dai cultori della materia. E’ certo che, specialmente dopo la prima e la seconda guerra mondiale e i connessi sconvolgimenti sociali, sono state fatte dovunque così larghe esperienze su quell’argomento, che il materiale utilizzato dal Puviani si è rivelato non sempre sufficiente a sostenere l’analisi degli aspetti più rilevanti e complessi della nuova teoria e non è stato ancora esaminato se e in quali limiti il suo inquadramento regga a quelle nuove esperienze5.

Si aggiunga il notevole incremento, che la Sociologia generale, dalla quale discende quella finanziaria del Puviani, ha avuto di recente e specie nel nostro Paese ad opera soprattutto del Pareto, che non ha risparmiato di formulare orientamenti istruttivi proprio riguardo all’analisi dell’attività finanziaria dello Stato, della quale in ultimo si è occupato in molti paragrafi del suo trattato6.

Non potendo soffermarci sulla ricca casistica raccolta dal diligentissimo finanziere perugino e non potendo trascurare di esporne anzitutto il pensiero, procederemo per sommi capi sorvolando anche su quei fondamenti filosofici della classificazione delle illusioni finanziarie in relazione alle leggi psico-fìsiche della nostra sensibilità, sui quali egli si è compiaciuto d’indugiare forse più del necessario.

* * *

Il Puviani ha cominciato coll’attribuire, da una parte, il carattere di spinta contributiva alla persuasione del contribuente che il sacrificio derivante dal pagamento dei tributi trovi sufficiente compenso nel vantaggio reso dallo Stato con la erogazione di essi e, dall’altra parte, ha attribuito il carattere di controspinta contributiva alla persuasione che quel vantaggio sia insufficiente. Il grado di eccedenza o di uguaglianza o di deficienza del sacrificio rispetto al vantaggio corrispondente determinerebbe la posizione di ogni contribuente, di fronte alla quale sarebbe compito dello Stato provocare le circostanze più idonee a diminuire ed eliminare la seconda persuasione e a far sorgere ed accrescere la prima, mentre compito trascurato della scienza sarebbe l’analisi sistematica delle relative illusioni dispensate dallo Stato.

A quest’ultimo intento il Puviani classifica le illusioni sulle spese e le entrate pubbliche secondo che riguardino l’ammontare, la durata, la destinazione, la fonte, il momento in cui sono eseguite, lo scopo che con esse si vuole raggiungere, gli effetti immediati e mediati ed altri aspetti minori. E si domanda anzitutto in quali categorie di fatti finanziari prevalgano le illusioni che consentano allo Stato di occultare ricchezze sottratte alla collettività.

Anzitutto i patrimoni pubblici coi loro redditi e le loro alienazioni avrebbero in varia misura nascosto ai contribuenti una parte delle loro ricchezze. Molti di essi ignorerebbero di essere comproprietari di beni non più del Principe ed oggi amministrati dallo Stato al fine di fornire entrate pubbliche concorrenti coi tributi alle spese di esso. Poiché inoltre coloro che lo sanno apprezzano tali beni molto meno dei propri beni privati e non tengono conto dei maggiori redditi potenziali che l’amministrazione privata ne avrebbe ricavato né delle alienazioni più o meno mascherate — facilmente compiute laddove il patrimonio agricolo abbia ceduto largamente il posto a quello industriale, difficilmente valutabile e meno noto —, permane un’illusione che attenua la controspinta contributiva.

Altra fonte di occultamenti risulterebbe dall’elevazione del prezzo dei prodotti allorché essi includano profitti monopolistici degli enti pubblici, dazi doganali, imposte di produzione, di scambio, di consumo, ecc., perché il consumatore paga in tali forme l’imposta senza che alcuno gliela chieda o la determini e l’illusione cresce con l’interporsi del tempo, degli eventi e delle persone fra il contribuente di diritto e quello di fatto.

Ciò spiegherebbe fra l’altro la sostituzione all’imposta sul macinato del dazio di confine sull’importazione dei cereali, che divenne nel nostro Paese più gravoso della prima rispetto alle masse dei contribuenti.

Le alterazioni della moneta farebbero pagare un’imposta occulta, che si nasconde anch’essa nei prezzi, riducendo il potere d’acquisto dei segni monetari, e di cui è impossibile precisare il gettito ossia l’entità del maggior potere d’acquisto dello Stato in relazione all’aumento dei prezzi. Alla lunga ne derivano malumori e tumulti, che quando il nostro autore scriveva « tendono a limitare d’assai, se non a proscrivere, la pratica delle alterazioni della moneta », ma in seguito si sono rivelati inefficaci e per l’acquiescenza delle classi dirigenti di allora hanno condotto al « vivere alla giornata » da parte delle moltitudini e alla sostituzione di gran parte del risparmio individuale col risparmio dello Stato medesimo e di altri enti collettivi, cioè hanno ristretto il campo dell’iniziativa individuale e dato il più efficace impulso alle odierne tendenze collettiviste e a nuovi contributi, parzialmente unificati ed ancora prolificanti, a sostegno di costose e in parte illusorie assistenze e previdenze sociali.

La requisizione di una parte del patrimonio privato, attuata mediante imposte sul reddito aventi durata indefinita, fa sorgere nel contribuente l’illusione di essere ancora proprietario dell’intero suo patrimonio e che non sia da tener conto della diminuzione di valore, che le fonti del reddito subiscono a causa della capitalizzazione dell’imposta : « Il recente aumento d’imposta, a cui il contribuente è stato assoggettato, si risolve in sulle prime per lui in un fatto nuovo, a cui non è ancora abituato e che può essere computato per qualche tempo insieme a quelle minute eventualità, che dànno un certo grado di oscillazione ad ogni reddito e dalle quali prescinde il valor capitale che si asside su di un prodotto netto medio… Nessun cambiamento tranne una piccola diminuzione di reddito e questa si svelerà sotto le forme di una forte somma di capitale perduto solo più tardi, dopo un periodo d’illusioni più o meno lungo e che su certe masse di contribuenti non dilegua mai

Questo stesso fenomeno si verifica con proporzioni più vaste in occasione della stipulazione di un prestito pubblico. L’interesse, che quinc’innanzi i contribuenti dovranno pagare, si risolve in una diminuzione del valore capitale delle loro fonti produttive ». Il Puviani a questo punto non distingue, almeno esplicitamente, le imposte reali da quelle personali né prende in considerazione le connesse variazioni dei saggi dell’interesse. Egli sostiene ricardianamente che quelle osservazioni sono valide da un punto di vista generale e, riguardo ai prestiti pubblici (perpetui), riconosce che per alcuni contribuenti non è indifferente pagare la somma necessaria a certi bisogni straordinari dello Stato in una sola volta o pagare solo gl’interessi del prestito corrispondente e soggiunge che la maggior parte dei contribuenti sarebbe persuasa che il carico di un nuovo prestito va addosso alle generazioni future e che il prestito è in generale meno gravoso dell’imposta straordinaria pagata una volta sola.

Oltre a questo motivo, l’uomo politico preferirebbe generalmente i prestiti alle imposte straordinarie perché i primi offrono il modo di nascondere sia la svalutazione dei patrimoni privati derivanti dalla durata indefinita degli interessi da pagare, sia la massa complessiva di disponibilità monetaria da essi assorbita e il vero saggio dei loro interessi. Su questo complesso argomento le analisi successive di De Viti De Marco, Einaudi, Borgatta e Fasiani hanno approfondito la natura delle segnalate illusioni con particolare esame della posizione economica dei contribuenti7. Ancora riguardo ai prestiti pubblici il nostro autore vede nella pratica invalsa di emettere i titoli a un prezzo inferiore a quello nominale solo una scaltrezza intesa a non dichiarare esplicitamente il più alto saggio dell’interesse reale: all’inconveniente di far apparire così un ammontare più elevato del debito pubblico si ovvierebbe frazionandolo in molti debiti speciali, differenziati nei nomi, nelle forme, nelle condizioni ed epoche di estinzione, nel saggio dell’interesse, col presentarne taluni come ammortizzabili coi redditi derivanti dalle opere per cui furono contratti, coll’annidarli nelle parti più disparate del pubblico bilancio e insomma col profittare dei progressi della tecnica contabile.

Il traffico delle cariche pubbliche fu in alcuni periodi una forma larvata di prestito pubblico, in quanto talora lo Stato (ad esempio, in Francia nella seconda metà del 500) si procacciava entrate straordinarie vendendo cariche anche soltanto onorifiche in ragione del prezzo ed esentando il compratore dal pagamento delle imposte. Poiché tale esenzione non dava luogo a sgravi del contingente delle imposte, ne derivava un aumento del peso tributario sul resto dei contribuenti senza l’odioso provvedimento dell’aumento del contingente e si riducevano i disavanzi. Nella forma descritta e in altre simili, il detto traffico nei paesi civili è da tempo caduto in disuso, ma — a parte i modi occulti e non necessariamente monetari, ancora usati nel conferimento di alcuni uffici anche mediante l’illusione di un concorso — la tassa su quei titoli e predicati nobiliari, concessi in premio di donazioni spontaneamente intese a soddisfare pubbliche emergenze di varia natura, non ebbe (insieme alle donazioni) un gettito trascurabile in un periodo piuttosto recente della nostra vita nazionale e valse ad illudere sugli appoggi morali e finanziari dello Stato.

Le vane promesse delle pubbliche autorità si accompagnano alle pratiche finanziarie di tutti i Paesi e si ripetono con assidua frequenza, ma non quanto basti a togliere ad esse la fiducia delle moltitudini. Il Puviani non ha voluto occuparsi di tutte le specie di quelle promesse e ne dà solo alcuni esempi. Ma per l’onore del genere umano, del quale si preoccupava molto un grande filosofo, preferiamo sorvolare su di essi ed osservare generosamente col nostro autore che « le false promesse non furono sempre fatte dall’autorità pubblica con intendimento di ingannare i contribuenti e spesso furono pronunciate con piena buona fede. Non si ha alcun dubbio che in molti casi l’uomo di Stato sia condotto a dichiarare la temporaneità di certi sacrifici, destinati e pesare sempre sul popolo, dalla sicura convinzione che le condizioni, che le reclamano, siano transitorie. Così è certo che in vari momenti alcuni ministri inglesi furono tanto convinti, come lo era il Paese, della precarietà dell’income tax» [tassazione del reddito].

* * *

Passando all’analisi sistematica dell’inefficacia degli istituti amministrativi e politici ad eliminare le illusioni finanziarie, il Puviani si occupa anzitutto degli ultimi secoli anteriori alla rivoluzione francese e perviene alle note conclusioni che una piena notizia dei conti pubblici, prima della proclamazione delle moderne Costituzioni, fu impedita da un buon numero di norme e pratiche, quali furono : il metodo contabile della pluralità delle casse e poi la redazione incompleta del conto generale con le entrate al netto e la loro ripartizione in esercizi finanziari di incerta estensione; il segreto imposto agli ufficiali superiori dell’amministrazione ed ai loro addetti; la ristretta o addirittura soppressa facoltà di votare i fondi da parte dei contribuenti : la corruzione dei corpi incaricati di consentire le imposte; il privilegio di parte dei loro membri e dei corpi incaricati del controllo; la mancanza di un’organizzazione unitaria fra questi ultimi e le restrizioni operate nel loro numero; infine i divieti di occuparsi pubblicamente di argomenti finanziari e comunque di opporsi alla politica tributaria del Principe.

Per il periodo successivo un’analisi imparziale porterebbe a conclusioni meno note delle precedenti e, se pur note, favorite o tollerate o detestate inutilmente: in contrasto ai pubblici bilanci annuali approvati dai rappresentanti del popolo con libertà e pubblicità di discussione, al sindacato sul potere esecutivo da parte delle Camere e delle Corti dei Conti e alla disciplina delle amministrazioni finanziarie, opererebbero dovunque quattro gruppi di fatti in parte antichi e in parte nuovi:

A) Fatti d’indole puramente contabile, specie l’accresciuta mole degli atti amministrativi in correlazione tanto ai nuovi bisogni pubblici e alla riconosciuta necessità di inscrivere nel bilancio le entrate al lordo, quanto ai metodi più elaborati di stendere le scritture.

B) Fatti d’indole contabile-politica, quali la persistenza di conti speciali ed autonomi infirmanti l’unità del bilancio; la violazione del principio della separazione di ciascun esercizio finanziario; l’occultamento dei debiti nel movimento dei capitali, nelle spese straordinarie e d’investimento, ecc.; le previsioni ottimistiche; il computo di entrate inesigibili; lo sconto di entrate future; il mascheramento di debiti patrimoniali sotto forma di debiti di tesoreria; la discussione di importanti leggi finanziarie in momenti di stanchezza, di disattenzione e senza la presentazione degli elementi necessari alla conoscenza della materia; l’attribuzione di carattere politico alle dette leggi.

C) Fatti d’indole puramente politica, come la resistenza opposta nelle Camere all’esame approfondito di certe entrate e di certe spese; la durata delle rappresentanze politiche; la mancanza di pubblicità della relazione generale della Corte dei Conti; i criteri partigiani a cui s’ispira la nomina dei loro membri; la natura strettamente giuridica del sindacato e la limitazione di esso ad un esame dei fatti compiuti; la sottrazione di alcune materie al detto sindacato e la mancanza di efficacia sospensiva del veto;

D) Fatti d’indole sociale e più specialmente economica ostacolanti fuori del Parlamento e nella pubblica stampa la piena discussione di quei conti : « Quelle assemblee composte di signori feudali, che abbiamo veduto in Napoli e Sicilia sotto la dominazione spagnuola; quei deputati borghesi nelle Cortes, che Carlo V con pensioni, onorari e dignità univa alla causa dell’aristocrazia dissanguatrice; quegli Stati Generali che dal 1439 al 1614, tanto remissivi innanzi al dispotismo, e quei nobili dei Parlements contrari all’abolizione dell’immunità tributaria non ricordano forse nella loro partigiana condotta i Parlamenti moderni non mai sazi di votare spese a favore delle classi superiori, amici delle imposte indirette, ripugnanti alle imposte dirette e invocanti anch’essi di quando in quando notizia dei conti pubblici con quel successo, che coronò gli sforzi degli Stati Generali dopo il 1439? Infine le Corti dei Conti moderne somigliano ancora, più che non dovrebbero, alle antiche Chambres des Comptes. Se una volta all’esame delle Corti era sottratta una parte delle spese pubbliche con le ordonnances des comptants, oggi lo è con leggi speciali; se un tempo il potere esecutivo si sottraeva al rifiuto delle registrazioni della Corte con un letto di giustizia8, oggi del pari può violare la legge del bilancio non tenendo conto di quelle registrazioni con riserva delle quali del resto non si cura… (pag. 129). Del resto la debole voce dell’interesse generale, come quella di ruscello in prossimità di una vasta cascata d’acqua, andrebbe perduta nel frastuono farisaico degl’interessi unilaterali ». E non erano ancora sorti i bilanci economici collettivi!

* * *

Alle analisi segnalate il Puviani fa seguire la costruzione, con materiali scrupolosamente ricavati dalle legislazioni finanziarie, di un particolare sistema d’illusioni, risultante non da occultamento di ricchezze sottratte alla collettività o da disfunzione delle istituzioni contabili, politiche e sociali di cui abbiamo parlato, ma dal collegamento delle contribuzioni, apertamente operanti e conosciute nei loro effetti anche dai contribuenti di fatto, a vantaggi economici e godimenti privati di essi pur riguardanti i particolari pubblici servizi resi dello Stato, qualora si tratti di contribuzioni speciali, oppure alla rimozione di sacrifici maggiori e persino a sopravvenute sventure, che rendano meno sensibile il contribuente al peso fiscale.

E qui intervengono anzitutto le acquisizioni di ricchezze a titolo gratuito, colpite da imposte prudentemente ridotte se derivanti da causa di morte nel nucleo familiare, e anche i trasferimenti a titolo oneroso colpiti dalle cosiddette tasse sugli affari.

Per chiarire il pensiero dell’autore prescindendo dai minuti particolari, su cui egli insiste, e sorvolando sulle accennate imposte di successione e donazione basta tener presente che chi scambia beni o servizi a scopi produttivi ha di mira generalmente un guadagno, che lo pone in uno stato d’animo favorevole al pagamento di un’imposta sull’atto dello scambio. Qualora altri motivi avessero provocato in questo caso l’imposizione tributaria, nella determinazione dell’aliquota del tributo non si sarebbe trascurato il detto stato d’animo e precisamente sarebbe stata sfruttata l’illusione, sorta nel contribuente, di avere una ricchezza maggiore di quella disponibile, peraltro esposta ai rimanenti tributi diretti.

Riguardo alle imposte sui consumi si sostiene (pag. 157) che l’occultamento di esse nel prezzo dei prodotti colpiti, di cui abbiamo parlato in precedenza, « agirebbe con piena efficacia sui ceti inferiori e più poveri » mentre per i ceti abbienti, colti e illuminati, non illusioni, ma qualcosa che l’autore intuisce e non riesce ad esprimere che ricordando la dolce Giovanna del Maupassant, i baratti dei bambini, gli acquisti « la cui utilità iniziale raggiunge le maggiori altezze » e girando attorno a quel « guadagno di appagamento », che oggi è ben chiaro nelle menti degli economisti: chi scambia a scopi consuntivi arriva generalmente al punto, in cui l’ultima dose del bene o servizio ceduto (fosse anche la moneta) gli dà un appagamento minore o uguale a quello dell’ultima dose del bene o servizio acquistato (fosse anche la moneta) e ottiene per lo più un immediato guadagno di appagamenti; totale e punto illusorio, particolarmente notevole per alcuni beni e servizi consumati dai ceti abbienti.

Quanto al collegamento di contribuzioni speciali a godimenti privati riguardanti i particolari servizi pubblici resi dello Stato, il Puviani osserva che lo Stato non si è accontentato mai o quasi mai di cavare da una speciale contribuzione il semplice costo di un servizio pubblico: la celebrazione del matrimonio, che commuove tanti affetti, avrebbe dato occasione alla percezione di imposte, « né fu solo la Chiesa, che stabilì diritti sul battesimo, ma anche lo Stato. Così per es. in Francia Carlo IX e più tardi Luigi XIV ». Anche gli svaghi pubblici o privati, i giuochi, il lotto, la caccia sottopongono il popolo a contribuzioni speciali, di fronte alle quali di poco o nessun rilievo sarebbe nel giudizio del contribuente la considerazione della maggiore azione di vigilanza e di polizia dello Stato, la quale del resto non avrebbe alcun fondamento per es. nell’innocuo giuoco di carte in famiglie private. Simili osservazioni sono estese ai titoli onorifici nobiliari e, se non alle ordinarie tasse scolastiche, a quelle pagate per il conseguimento di licenze, diplomi, titoli accademici ecc.

Anche alla rimozione di sacrifici maggiori — esagerati o addirittura fantastici — e persino a sopravvenute sventure si collegherebbero proficuamente contribuzioni speciali. La casistica è ricchissima, ma uno dei casi più frequenti è quello, in cui « il potere pubblico presenta una imposta nuova o un aumento delle vecchie o un prestito pubblico o un’alienazione demaniale come gli espedienti indispensabili per rimuovere il pericolo di un danno pubblico, vero o immaginario. S’intende bene che la natura di cotesto danno può essere assai varia e riferirsi così al caso di una minaccia all’integrità del territorio nazionale, come all’ordine interno, alla salute fisica della popolazione o ai suoi interessi economici. Così l’uomo politico riesce a strappare l’approvazione di leggi finanziarie additando il bisogno di seguire i progressi negli armamenti di una potenza rivale o di contrastare l’espandersi o l’agitarsi dei partiti sovversivi o di combattere malattie che minacciano le vite umane, di vegetali o di animali ».

D’altra parte sopravvenute sventure facilitano la percezione d’imposte : « una moltitudine di vittime sul terreno economico, che non avrebbe mai potuto essere colpita d’imposta in ragione dei suoi lucri, dell’importanza del suo avere, fu taglieggiata nei momenti delle sue maggiori strettezze e dei suoi maggiori sacrifici. Si colpì senza riguardo la piccola proprietà che si trasferiva, il poderetto, la casupola, la vendita dell’ultimo residuo della propria sostanza, fosse pure determinata dal bisogno di mantenere un infermo, il bene strappato dal creditore all’asta pubblica per un prezzo vile. Tutta una classe di deboli proprietari in dissoluzione si rassegna alle feroci esigenze fiscali non tanto per la cosciente impossibilità di resistere ad esse, quanto perché nello sfacelo delle sostanze, nell’impeto della sua rovina considera la frazione di ricchezza strappatale dall’imposta come un ammennicolo, un accessorio, i pochi stecchi aggiunti al pesante fardello ».

Il rimanente di questa parte del volume si propone di spiegare le varie specie d’illusione sorgenti dalle imposte di successione, in precedenza considerate, e dalla moltiplicazione e varietà dei tributi ecc. mediante l’azione di alcune leggi psicologiche e, inoltre, cerca di approfondire le accennate illusioni nascenti dai tributi consolidati su contribuenti passati ed apparenti su quelli presenti, o appoggiate sull’erronea convinzione da parte delle generazioni presenti di essere liberate dai tributi stabiliti da quelle passate, o derivanti dal vedere un contribuente di fatto in chi non è tale o una persona esente da tributo in chi lo sopporta.

Avvicinandosi alla conclusione, il nostro autore vuol vedere chiaro nella posizione dei ceti superiori in confronto a quelli medi e inferiori riguardo alle illusioni finanziarie e a questo proposito non manca di occuparsi della burocrazia e delle note circostanze del suo estendersi e consolidarsi : « Oltre che dalle sopraddette cause, lo straripamento della scriniocrazia* fu determinato da un crescente bisogno di membri incaricati della diffusione dell’illusione politica e finanziaria… A questa domanda incessante di funzionari pubblici corrispose un’offerta inesauribile. I piccoli proprietari agricoli, molestati dalla concorrenza estera, dalle difficoltà di trovare credito a lunga scadenza, vegetavano meschinamente… Proprio quando i titoli nobiliari non valsero più a procurare i migliori posti nell’esercito e nella Chiesa…, proprio allora s’inaugurava una nuova èra, nella quale turbe sempre più fitte di persone improduttive dovevano fare ìmpeto nell’amministrazione ed allargarne i quadri… In paesi dove queste classi medie sono meno numerose, dove lo spirito d’intrapresa è più diffuso perché l’idustria provvede ai bisogni anche di altri popoli, l’attività dello Stato fu più circoscritta e la burocrazia meno pesante… Tale è il caso dell’Inghilterra ». Le ultime pagine del volume, alle quali abbiamo accennato in principio, aggiungono poco alla teoria esaminata, che ci siamo proposti di delineare secondo il filo conduttore irreprensibile, ma non sempre palese e progressivo nei suoi svolgimenti a cagione del carattere originariamente monografico delle parti raccolte in un sol testo.

FELICE VINCI

Milano, Università.

Note:

*La scriniocrazia rappresenta un modello di governo in cui l’efficacia amministrativa è garantita attraverso un apparato burocratico ben strutturato, ma che può anche portare a fenomeni di corruzione e abuso di potere da parte dei funzionari.

1 P. L. Reynaud – La psychologie du aontribuable devant l’ìmpót, in « Revue de Science et Législation Financière», voi. XXXIX, 1947, pag. 395 e seg.; voi. XL, 1948, pag. 276 e seg.

2 H. Laufenburger – Traité d’Economie et de Législation Financière, Paris, 1950; id., Economie financière, Paris, 1950.

3 G. Rottiek, Institut de Science Economique Appliquée: Income redistribution betvoeen social groups in France in 1949 (Econometrie Society, Cambridge Meeting, August 1952).

4 Prof. Amilcare Puviani dell’Università di Perugia, Teoria dell’illusione finanziaria, 1903, R. Sandron, Editore Libraio della R. Casa, Milano-Palermo Napoli (Tip. Fratelli Vena, Palermo). Rivolgendosi al lettore il Puviani ha premesso : « La seconda metà circa di questo volume viene ora alla luce per la prima volta. Non di meno essa era già stata scritta quattro anni or sono. L’opera adunque nella sua interezza avrebbe potuto essere pubblicata da molto tempo, se circostanze estranee alla mia volontà non vi si fossero opposte. Esse hanno avuto per effetto anche di disamorarmi di ricerche, che un dì m’interessarono e di distogliermi dal proposito altra volta espresso nella « Riforma Sociale » (Il problema edonistico nella Scienza delle finanze) di scrivere due monografie, l’una sull’illusione politica e l’altra sui mali di coazione e beni di corruzione».

5 Fa eccezione nel nostro Paese M. Fasiani, Principii di Scienza delle Finanze, voi. I e II, seconda edizione 1951. Nella parte prima, riguardante la finanza dello Stato monopolista, il compianto autore destina tre capitoli alle illusioni sulle spese e le entrate dello Stato, dove segnala ed espone accuratamente il pensiero del Puviani, riportando lunghi brani del detto volume con importanti osservazioni personali.

6 V. Pareto, Trattato di Sociologia Generale, voi. I e II, 1919 (vedansi specialmente i numeri 1269 e seguenti).

7 Il Fasiani, op. cit., premette che la teoria del Puviani riguarda solo la finanza del cosiddetto Stato monopolista, ma soggiunge che (pag. 82) « storicamente in tutti i sistemi finanziari si trovano, or qua or là, istituti che dànno luogo al formarsi di illusioni, ciò che è dovuto da un lato al fatto che l’illusione stessa è connaturata a certi tipi di attività finanziaria e dall’altro lato al fatto che storicamente non è mai esistito un tipo di Stato che rispondesse pienamente alle caratteristiche dei nostri tre casi-limite».

8 Lit de justice era in Francia il seggio occupato dal Re nelle sedute solenni del Parlamento. In seguito venne a denotare una seduta parlamentare e si diceva che, per imporre la registrazione dei loro editti, i Re indicevano letti di giustizia.

Leggi la Teoria della illusione finanziaria:

https://drive.google.com/file/d/0B1yvwwUFoJwqTjBSUkdkWDhuSzg/view?usp=sharing&resourcekey=0-1d_E83-aFBIq3Nw-hAx8Kg

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Logo Fronte di Liberazione Nazionale con Nicola Franzoni

Partito Politico Registrato: Fronte di Liberazione Nazionale | Sigla Registrata : FLN | Simbolo Registrato

sede legale: viale Colombo 10 Marina di Carrara

partito@frontediliberazionenazionale.it


©2022 Fronte di Liberazione Nazionale